I vecchi camini accesi borbottano prepotenti con folate di fumo nero, che si innalzano vibranti e si scagliano con pacata delicatezza contro il cielo grigio. Ma lo sforzo della salita dalla canna fumaria si consuma in un attimo, perché il vento si diverte malandrino a spazzare via quella nuvola nera, che cerca ogni volta -invano- di librarsi verso la libertà.
Le lenzuola appese, dai mille colori, che cromaticamente sembrano disposte per formare un immenso arcobaleno, stanno per essere ritirate in casa, mentre si attende l’arrivo imminente di una scrosciante pioggia autunnale. Con fenomenale destrezza vengono ripiegate in pochi tocchi da anziane signore, che sembra giochino a pallavolo e non possano per regolamento fare più di tre passaggi.
E poi c’è il profumo della carne che si rosola nella padella, insieme al bollire del sugo che cuoce lento di fianco ad un caldo contorno.
Non c’è nessuno in giro, se non dietro gli scuri delle finestre, che gioca divertito a nascondino. Solamente qualche gatto si affaccia curioso dietro vasi di gerani ormai secchi, per controllare il proprio territorio.
Sono tornata dove ho abitato, in questo freddo giorno di ottobre, e nulla è cambiato. Il piccolo centro sembra sempre più vecchio e stanco, come fosse un quadro dipinto e gettato dal suo pittore in una vecchia cantina impolverata. Di bell’effetto per chi lo scopre, ma troppo inerme per chi lo vive. E allora ogni volta passeggiando tra questi vicoli imprimo il ricordo di una cartolina che porterò con me, come il ricordo di un amore, che non doveva essere…