Stavo per compiere 35 anni e per sole dodici ore avrei avuto ancora la possibilità di dire che mi trovavo più verso i 30, che verso i 40. Più verso il mondo dei ragazzi, che in quello degli adulti, dove non sarei riuscita a scampare all’etichetta “signora”, davanti uno scaffale di carta igienica al supermercato. Ma sapevo che il tempo stava inevitabilmente passando e anche quelle cazzo di candeline rosse, su quella torta millefoglie che avevo ordinato, me lo avrebbero ricordato. Così una turbolenta agitazione e un’ansia always and forever, si stavano impossessando di corpo e mente, ora dopo ora.
Ero stata sempre una donna combattiva, indipendente sin dall’adolescenza, che aveva ogni benedetta volta ascoltato l’opinione di tutti, ma che poi aveva iniziato ad agire di testa propria. Sempre nel rispetto delle etichette, delle regole e di tutte quelle imposizioni ossessive che la società ti attacca appena nasci, in stile peste nera del Trecento. Eppure, negli ultimi anni avevo scoperto che da sola non mi bastavo più, che quella indipendenza stava diventando eccessivo egocentrismo.
Così, sarà stata la sindrome delle pance al nono mese che vedevo sbucare in ogni angolo, sarà stato il continuo e perenne slogan di parenti ed amici:”Eva, guarda che poi te ne penti”, che alla fine un giorno la mia solitudine amorosa si è trasformata in un’ avvincente passione con Giorgio. Un uomo sincero, ma schivo, un leale difensore di diritti e doveri, anche se disordinato e con amnesie perenni. Lo accettavo con tutti i suoi difetti: con i suoi sportelli sempre aperti, quei calzini sempre ai piedi del letto, quel suo essere ritardatario in ogni occasione e anche in quella sua mania ossessiva di ripetermi: “non facciamo le cose troppo seriamente sin da subito”.
E a me stava bene così. O almeno pensavo che potesse andarmi bene. Finché un giorno, mentre mi trovavo in posa dal mio coiffeur, sono rimasta per troppo tempo a fissare un abito bianco Pronovias e lì ho capito che forse quell’ “attendiamo” quel “non vediamoci tutti i giorni, così è ancora più bello” iniziavano a starmi stretti.
Così ho incominciato a parlare con Giorgio, prima prendendo il discorso un po’ alla larga, poi stringendo il cerchio e alla fine braccandolo come se fossi un beagle a caccia. E non so ancora oggi se si sia convinto perché lo era, o perché io l’ossessionavo con questo sogno idilliaco di queste nozze celestiali. Perché parliamoci chiaramente: io a dieci anni già dicevo che non mi sarei mai sposata; che non avrei sopportato gente che sbadigliava come fosse un mammut; che piuttosto che sentire parlare uno di prima mattina avrei preferito buttarmi di sotto con un geranio in testa.
Fatto sta che mentre soffiavo quelle candeline dei miei 35 anni ho espresso un desiderio, ed era proprio di indossare quell’abito Pronovias in macramè. E dopo nemmeno un’ora Giorgio, nello stupore generale, nel brusio incessante di un chiacchiericcio metropolitano, mi ha chiesto di sposarlo. “Soffia le candeline ed esprimi un desiderio”. Così mi aveva detto prima di spegnere quelle cazzo di candeline rosse.
E voi mi direte: che culona, ti lamenti?
Oggi ho 36 anni e sono single. E’ passato un anno e Giorgio è scomparso con le sue promesse, il suo anello, il suo silenzio. Ieri non c’è stata nessuna torta, nessuna candelina, nessuno che mi dicesse “esprimi un desiderio”, ma oggi io sono qui a raccontarmi e a raccontarvi senza nessun rimpianto.In modo tale che finisca questa ossessione che tutti dobbiamo suggellare la nostra vita con un matrimonio e dei figli, perché non tutti sono nati per questo e non tutti incontrano la loro metà perfetta. Quella di cui parlava Platone, tanto per capirci…
E un consiglio,care amiche donne, non costringete mai coloro che non vogliono prendere impegni,perché prima o poi fuggono via. Piuttosto aprite la porta e fateli accomodare fuori e se vogliono farsela la valigia da soli bene, altrimenti aprite il cassonetto dell’indifferenziata e gettate tutto.Senza rimpianti e senza pensare che il problema siate sempre voi.