Quelle due coppie in sala d’attesa

downloadUna grande sala d’attesa, lunghe file di sedie grigie, infermieri, ausiliari, qualche medico di tanto in tanto.

Avevo di fronte a me, di spalle, una coppia di signori di all’incirca 65-70 anni e poco più in là, verso la porta, un’altra coppia, stessa età, ma con la faccia rivolta verso la mia.

Nella prima coppia vedevo una donna con un crocchio di capelli neri ordinatamente tenuti da un fermaglio. Mani conserte in grembo, ossa fragili e minute. Mentre lui era un uomo robusto, scuro in volto, con movenze dure su quelle sedie instabili. I due non erano seduti vicini, ma erano separati da una borsa, da alcune buste e da un ombrello. Il muro che probabilmente si erano creati negli anni.

Ognuno guardava in punti diversi e i loro sguardi si incrociavano solo nel lamento del marito per il tempo di attesa. Gli occhi della donna (che non vedevo) rappresentavano la rassegnazione a quel carattere, che aveva imparato a sopportare nel corso del tempo, ma che ancora la feriva e le faceva tenere gli occhi bassi verso il pavimento. Come ad avere paura di ogni borbottio, di ogni respiro, di ogni movenza.

Nella seconda coppia lei era possente, così come lui, entrambi sorridenti, si lanciavano sguardi complici. Il marito teneramente, con quelle mani grandi, che non diresti mai potrebbero essere delicate, poneva sulla spalla della moglie pacche sincere.

Di quella coppia che vedevo ho descritto poche  righe, di quella che non vedevo ho compreso tutto quell’amore ormai morto.

Spesso basterebbe chiudere gli occhi per vedere. E chissà tra 40 anni chiudendo gli occhi cosa vedrò di me.

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