Un aeroporto, così come una stazione, affascina ogni scrutatore attento, che per mestiere o per semplice piacere adora osservare le movenze di coloro che popolano i luoghi pubblici. E così, quando le mie tasche riescono a sobbarcare una vacanza, ecco che il brusio silenzioso dell’alba, si unisce all’eccitazione dei vacanzieri, o alla paura tremante di quelli meno avvezzi a volare.
Tralasciamo il fatto che la mia palpitante emozione si innesca quell’attimo primo del decollo, quando i motori iniziano a rombare sotto il sedile e la rincorsa sulla pista crea un’adrenalina incosciente che mi fa gioire come una bambina alle giostre. A differenza del mio compagno di viaggio, che serra gli occhi e si irrigidisce sulla poltrona, pregando che il tutto finisca presto. Non avendo quindi possibilità di distoglierlo dal suo esercizio di rilassamento -onde evitare la morte prematura-, instauro un rapporto simbiotico con il finestrino, ammirando il gioco di nuvole o l’alternanza acqua-terra dei territori sottostanti.
Prima però di lasciarmi affascinare dal viaggio, il mio irriverente occhio cattura in aeroporto i passeggeri degli altri voli.
I miei preferiti sono gli asiatici, che sembrano delle laboriose formichine, che velocemente tartagliano frasi incomprensibili, muovendosi all’unisono e di corsa verso i loro obiettivi. Indistinguibili tra di loro arrivano compatti e ordinati in gruppi di quindici-venti persone e seguono sempre l’ombrellino con il girasole della loro guida. Solitamente amano stare comodi durante il volo e optano di togliersi le scarpe, indossando semplici pattine.
I peggiori invece sono coloro che non dovresti mai avere di fianco: i pendolari. Quelli che sono talmente abituati a prendere un aereo, che ormai viaggiano maggiormente nel cielo che sull’asfalato, e che riescono a far passare l’entusiasmo del volo anche al bambino più eccitato del mondo. Sbuffano continuamente aspettando il momento di imbarcarsi e una volta saliti apparecchiano il loro tavolo. Aprono il giornale, accendono l’i-Pad, consultano l’agenda, sventrano la ventiquattrore, estraggono delle carte da firmare, scuotono la testa all’hostess che propone loro qualcosa da bere e si alzano per primi per poter uscire velocemente. E sono sempre convinta che loro i dispositivi elettronici non siano mai in “modalità aereo”.
Nel mezzo abbiamo le famiglie, che solitamente non fanno altro che bisticciare, tra il “c’è tempo” del marito e lo “sbrighiamoci” della moglie. Mentre i bambini stanchi o estremamente elettrizzati si lamentano e piangono, o scorrazzano per l’aeroporto, estasiati dallo scintillio delle vetrine. E credo che maledicano l’idea di aver voluto fare una vacanza, visto che si rende spesso più faticosa del tram tram giornaliero.
Per cui, il viaggio per me non inizia all’atterraggio, ma alla partenza. Nell’ alternanza di volti e sensazioni, in questi affascinanti luoghi di osservazione.