L’eccitamento tramortente che percuoteva il mio corpo sembrava far sollazzare il sangue nelle mie vene, come un gruppo di adolescenti ad un rave party non autorizzato. E la mia mente vagava tra meravigliosi colori, che sembravano dipingere ogni cosa che mi circondava. Come un pittore nel suo momento estatico io immergevo nella tavolozza di quella giornata il pennello dei miei pensieri e componevo un quadro, che di astratto non aveva la ben minima parvenza. Non era amico di Pollock, né di Miro’, il mio dipinto era chiaro come un quadro di Van Gogh, che con i suoi tratti colmi di tempera imprimeva i suoi sentimenti su ogni tela.
Eppure, nonostante fossi così positivamente convinta di ciò che stava per accadere, era come se sul mio quadro, da un fuori campo sconosciuto, qualcuno provasse a lanciare con una catapulta impazzita zampilli di vernice nera. Che scomponevano e oltraggiavano la bellezza di ciò che avevo composto. Di ciò che avevo voluto e ardentemente desiderato.
Sulla mia tela si poneva il dubbio dell’idillio che si distrugge. L’orrore della convinzione che lascia posto al vuoto dell’incertezza (…)
Tratto dal Racconto “L’Opera d’arte della vita”