Il Mal d’Africa l’ho incontrato stando a casa

L’arancio si unisce al rosso di quel cielo che arde, al tramonto della fine di un giorno qualunque e ti trasporta al di là di un tempo che si espande, e non trova collocazione con la vita oltre quella terra. Lo chiamano Mal d’Africa e si trascina dietro qualsiasi valigia abbia toccato quel suolo e sia costretta poi a puntare il cielo per tornare indietro. Con quella nostalgia che solo i grandi amori sanno dare.

Ma io il Mal d’Africa l’ho incontrato restando a casa, con quel tramortente e inconscio desiderio di ritorno, ad un’origine che ancora esiste, priva di qualsiasi forzatura moderna. In quella benevolenza verso il prossimo, definita dalle tribù “ubuntu”. In quegli sguardi all’apparenza poveri, ma che nonostante tutto regalano il sentimento, quello gratuito e autentico, privato dalla corruzione odierna della mia società.

A volte è proprio uno sguardo che arriva, da quella terra dai tramonti incendiati, che può stravolgere qualsiasi logica e razionalità. Perché all’apparenza l’Africa rappresenta sin da sempre solo sfruttamento, razzismo, povertà. E per i più fortunati: resort a cinque stelle, safari e foto ricordo, con quei bambini scalzi, che corrono dietro i sogni regalati da quelle caramelle lanciate dalle Jeep degli occidentali.

Ed è proprio questa la vera tristezza, la povertà di chi guarda e scatta, e poi fugge via. Non di chi resta e vive a proprio modo, tra fango e baracche. Non di chi ancora viene definito “selvaggio” e “negro“.

Il mio mal d’Africa ha un nome. Si chiama Samuel. E la sua domenica non è diversa da qualsiasi altro giorno, in quell’orfanotrofio di Watamu. In quella terra che arde, tra quei sorrisi che non si spengono mai, tra quella polvere che si alza, tra quei pasti mangiati con le mani, e tra quelle notti passate su quei letti scomodi.

Il mio mal d’Africa è il desiderio di un incontro. Timido come l’alba che nasce, ma alto come il sole a mezzodì.

“Io sarei tornato in Africa, ma non per guadagnarmi la vita, per questo mi bastavano un paio di matite e poche centinaia di fogli di carta della meno cara. Ma sarei tornato là, dove mi piaceva vivere, vivere veramente, non puramente trascorrere i giorni”. Ernest Hemingway

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2 risposte a "Il Mal d’Africa l’ho incontrato stando a casa"

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